Una delle tante domande che ti verranno poste in fase di compravendita è se il tuo immobile ha il certificato di agibilità o di abitabilità.
Intanto è bene sapere che il certificato di agibilità è un documento che attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti.Ma che differenza c’è fra agibilità e abitabilità?
Al momento nessuna in quanto il certificato di abitabilità dal 2021 non esiste più, ma per capire meglio e fare luce sul problema facciamo qualche passo indietro nel tempo in quanto tale autorizzazione, nel corso degli anni, ha subito diverse modifiche.
Dobbiamo andare a ritroso di circa 135 anni per trovare la prima legislazione sull’abitabilità di una casa. Ecco le date salienti.
1888 – è stata la legge 5849 del 1888, Legge per la tutela dell’igiene e della sanità pubblica”, che per la prima volta afferma la necessità di ottenere l’autorizzazione per abitare una casa.
1934 – è Il momento che introduce in modo ufficiale per gli edifici italiani l’obbligo di avere l’agibilità per essere abitati. Stiamo parlando del Regio Decreto n.1265 del 27 luglio 1934, il “Testo Unico delle leggi sanitarie”.
L’abitabilità nasce come un’autorizzazione da rilasciarsi dal Podestà (poi Sindaco) imposta dall’articolo 221 del R.D. n. 1265 del 27 luglio 1934 secondo il quale “Gli edifici o parti di essi non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità.”
All’origine, l’abitabilità (o agibilità che dir si voglia) aveva sostanzialmente una funzione igienico-sanitaria e di verifica di conformità al progetto, tanto è vero che la sua redazione era rinviata all’(allora) Ufficiale Sanitario del comune coadiuvato dal tecnico comunale (questa la prassi prevalente).
Il fine però è sempre stato quello di verificare le condizioni di salubrità dei locali da rendere abitabili (se residenziali) o agibili (se commercial-direzional-produttivi) per cui nei sopralluoghi non si andava tanto per il sottile nelle verifiche di “conformità” al progetto autorizzato, le cui eventuali variazioni esecutive (a volte sì, a volte no) venivano sommariamente riportate negli elaborati di verifica.
1994 – Da autorizzazione a certificazione (anche con silenzio-assenso)
Il 22 aprile 1994, con il DPR n. 425, articolo 4, l’“autorizzazione” viene convertita in “certificazione” ottenibile anche con “silenzio-assenso”.
Autorizzazione significa che la Pubblica Amministrazione, verificata l’esistenza dei presupposti (“autorizza”, cioè consente l’“uso”); certificazione significa che l’“uso” è di per sé consentito qualora sia verificata l’esistenza dei presupposti. È una dichiarazione di presa d’atto (un po’ come il certificato anagrafico). È però ancora un atto abilitativo (di norma espresso, ma anche implicito acquisibile per autocertificazione.).
Con il DPR 425/1994 l’abitabilità/agibilità cambia radicalmente ruolo e – pur conservando la funzione di verificatore della salubrità e conformità al progetto da parte del direttore lavori (sparisce l’ufficiale sanitario) – richiede anche l’attestazione dell’avvenuto accatastamento e il certificato di collaudo.
Si tratta di un passo avanti nella tutela pubblicistica: non solo salubrità e conformità edilizia, ma anche sicurezza strutturale (collaudo) e garanzia dell’imposizione fiscale (accatastamento).
2001 – il cambio di nome: da abitabilità ad agibilità
Con la prima stesura del Testo Unico dell’Edilizia rimane una certificazione anche se cambia nome: non più “abitabilità” ma “agibilità”.
La modifica si rese opportuna per dirimere una distinzione lessicale di prassi che (pur senza espresso riferimento legislativo) soleva definire “abitabilità” l’atto inerente alle residenze e “agibilità” quello per le altre destinazioni.
Nel nuovo Testo Unico dell’Edilizia nel 2001 (di fatto entrato in vigore nel 2003) l’agibilità cambia contenuto e diventa l’attestazione della “sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente” (art. 24).
2016 – Da certificazione a “comunicazione di parte”
Nel 2017 – con il d.lgs.25.11.2016, n. 222 (entrato in vigore l’11.12.2016) – cambia però sostanzialmente natura e diventa una comunicazione di parte definita dall’articolo 25 come “Segnalazione Certificata di Agibilità” volgarmente citata come S.C.A.
E qui l’innovazione è sostanziale perché la “certificazione” perde la connotazione di atto amministrativo per declassarsi a mera comunicazione asseverata.
Con l’ulteriore d.lgs. 222/2016 (oltre alla modifica di natura soprariportata) alle condizioni già previste si aggiungono il “rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato”.
L’agibilità diventa dunque un atto complessivo dello stato di salute dell’edificio che garantisca requisiti minimi di sicurezza per poter essere utilizzato in tema di sicurezza, salubrità, conformità edilizia e impiantistica.
Se invece il certificato fosse datato potrebbe non essere più una garanzia di qualità dell’immobile e assenza di abusi realizzati negli anni successivi al suo rilascio, senza dimenticare che le normative sono in fase di continuo aggiornamento.
Il Certificato di Agibilità è fondamentale al giorno d’oggi per ottenere un mutuo bancario; infatti, nella documentazione richiesta da parte degli enti finanziatori questo certificato è obbligatorio: fornisce una garanzia alla Banca della regolarità dell’edificio e quindi della sua rivendibilità.
Quando serve l’agibilità – o meglio – quando è necessario presentare una nuova SCA a seguito di una ristrutturazione?
La segnalazione certificata di agibilità deve essere presentata ogni volta che vengono eseguiti i seguenti interventi:
- nuove costruzioni;
- ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;
- interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di “sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati”.
Asseverare la sicurezza degli impianti significa che un tecnico certifica che tutti gli impianti sono sicuri, sia quelli che sono stati rifatti sia quelli che non sono stati rifatti. Per asseverare il tecnico allegherà il certificato di conformità degli impianti rilasciato dall’installatore per i lavori di nuova costruzione, mentre per asseverare gli impianti esistenti si dovrà allegare una dichiarazione di rispondenza (Di.Ri.) in cui un tecnico si assume l’onere di dichiarare che l’impianto, anche se realizzato 30 anni fa, rispetta i requisiti di sicurezza dell’epoca in cui è stato realizzato ed il suo utilizzo è sicuro.
Asseverare la sicurezza statica e sismica significa che l’immobile ha un regolare collaudo statico. Molti immobili costruiti nei decenni passati ne sono sprovvisti, è infatti diventato obbligatorio solo dal 1940. Se però la ristrutturazione non ha interessato la statica dell’edificio non è necessario il nuovo collaudo statico.
La SCA dovrà essere presentata entro 15 giorni dall’ultimazione dei lavori. Il testo unico dell’edilizia prevede che “la mancata presentazione della segnalazione, nei casi indicati al comma 2, comporta l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464”.
Inoltre, la mancata presentazione della SCA potrebbe far decadere alcune detrazioni fiscali. Anche per vendere o affittare occorre sempre più sovente presentare l’agibilità, ma ottenere tale documento dopo molti anni dalla ristrutturazione potrebbe essere molto costoso ed in alcuni casi impossibile da conseguire per nuove sopraggiunte regole da rispettate soprattutto relativamente agli impianti.
gennaio 2023, Daniela Roasio dottore in architettura e consulente immobiliare