Co-housing in Italia?
Perchè no!
Il fenomeno del cohousing è uno dei tanti modelli di condivisione abitativa che sono ormai consuetudine nel Nord Europa e che lentamente stanno cercando di ritagliarsi uno spazio anche all’interno del mercato italiano.
iniziamo cercando di fornire una definizione di cosa sia effettivamente il cohousing. Il termine cohousing nasce in Danimarca negli anni 60 per definire quegli insediamenti abitativi composti da alloggi privati, caratterizzati dalla presenza di diversi spazi comuni (al chiuso e all’aperto) destinati all’uso collettivo e alla condivisione tra i cohousers. Alcuni esempi di queste aree di condivisione possono essere ampie cucine, lavanderie, spazi per gli ospiti, laboratori, spazi gioco per i bambini, palestra, piscina, internet cafè, biblioteca e tanto altro ancora.
Va sottolineato come una soluzione di cohousing differisca dal coliving per il fatto che nel primo caso si parla di più unità abitative private in cui gli abitanti condividono solamente alcuni spazi, mentre nel secondo si tratta di coabitazione nel senso stretto del termine, con condivisione di tutti gli spazi abitativi.
Questa particolare tipologia abitativa ha visto nella pandemia un acceleratore sostanzioso in quanto la paura dell’isolamento ha portato ad una sua presa in considerazione maggiore. La possibilità di condividere spazi, tempi e servizi risulta essere un’attrattiva di interesse per molte persone. Nonostante ciò, pare comunque che il fenomeno del cohousing non riesca a prendere piede rapidamente probabilmente a causa di una forte resistenza culturale, alcune difficoltà burocratiche e una diffusa ignoranza sul tema. Bisogna tenere ben presente che per cultura, l’Italia è forse il Paese che più di ogni altro vede nascere nei confronti della propria abitazione un legame affettivo che è quasi inesistente ad esempio nel Nord Europa. La casa all’estero viene vista sì come un bene o un asset importante, ma la componente emotiva legata ad essa è decisamente inferiore al punto da portare molte persone a cambiare numerose abitazioni nell’arco di una vita.
La categoria di persone per cui è pensato e messo in pratica il cohousing in Italia è composta per la maggior parte da individui con disabilità, anziani o persone che condividono condizioni di salute simili e che, optando per soluzioni abitative di questo genere, non vogliono essere di peso per le famiglie di origine.
Un esempio di cohousing funzionante e ammirevole lo troviamo ad Orbassano, in provincia di Torino, dove il geometra Andrea Gallina ha pensato alla creazione di un “condominio dinamico” per persone con le sue stesse disabilità. L’idea nasce dall’esigenza di permettere a persone disabili di poter usufruire di spazi, attività e servizi in condivisione. Questa soluzione abitativa di cohousing prevede che sette alloggi su 69 di un palazzo siano dedicati a persone con disabilità, con spazi all’aperto e al chiuso in condivisione tra loro. Il progetto ha preso il nome di “Condividere gli spazi, includere le differenze” e fonde perfettamente l’esigenza di avere una casa indipendente e il bisogno di zone di condivisione dedicate.
Il cohousing non è però solo replicabile per persone con disabilità, ma anche per anziani e persone ormai rimaste sole. Il bisogno di socializzare resta una caratteristica insita nell’essere umano e molte persone potrebbero sentire la necessità di soluzioni abitative come queste in grado di fornire sì comodità e risparmio, ma anche possibilità di socializzazione maggiori rispetto ad un classico condominio.
La direzione che il cohousing sta lentamente prendendo, ma che ancora stenta a decollare, vede un discostamento dalla nicchia specifica di origine (quella della soluzione abitativa per anziani o disabili o persone in difficoltà) tentando di far passare il concetto che optare per una soluzione di cohousing significa sposare una certa filosofia di vita. Questa vede i principi della condivisione, della socializzazione e dell’amicizia i pilastri fondanti su cui poggiare.
La pandemia ha costretto molte persone a rinchiudersi tra le mura domestiche non potendo avere rapporti con persone del mondo esterno. Un antico proverbio africano recitava che “per crescere un bambino serve un intero villaggio” ed è proprio da qui che si può partire per comprendere ciò che sta dietro alla scelta di una soluzione di cohousing. Il senso di isolamento provato in pandemia ha portato inevitabilmente ad una riscoperta dell’istinto umano di socializzare e il cohousing, ascoltando le esigenze e le attitudini di gruppi di persone che condividono i propri bisogni, propone soluzioni adeguate alla realizzazione di strutture abitative che favoriscano questa socializzazione offrendo loro un senso di comunità.